Quando si parla di olio extravergine di oliva molto spesso si fa riferimento all’acidità intesa come parametro indicante la qualità del prodotto ed in effetti tale parametro è probabilmente l’indicatore che meglio di qualsiasi altro riesce a sintetizzare una valutazione complessiva sulla qualità chimica dell’olio extravergine.
Il problema è che tale parametro viene interpretatodalla maggior parte dei consumatori in maniera errata e viene spessissimo confusa con caratteristiche organolettiche dell’extravergine che niente hanno a che fare con la stessa.
Cerchiamo di capire cos’è quindi l’acidità, come la si può valutare e cosa rappresenta.
L’olio extravergine di oliva chimicamente è costituito per il 98-99% da una miscela di trigliceridi detta anche frazione “saponificabile” e per il rimanente 1-2% da un insieme di composti che rappresentano “l’insaponificabile”.
In estrema sintesi (e qui i chimici potrebbero avere qualcosa da ridire per l’eccessiva semplificazione) un trigliceride è costituito da uno “scheletro” chiamato glicerolo a cui sono legati degli acidi grassi.
Una molecola di olio integra avrà pochissimi acidi grassi separati dal glicerolo.
L’acidità di un olio misura proprio la quantità di acidi grassi che si sono separati dal glicerolo.
Ne discende pertanto che tanti meno acidi grassi si saranno separati dal glicerolo, tanto più integra sarà la molecola del l’olio e di conseguenza più bassa sarà la sua acidità.
Un olio extravergine prodotto da olive sane e raccolte al giusto livello di maturazione utilizzando corrette tecniche di raccolta, trasformazione e conservazione, avrà generalmente una acidità molto bassa.
Nel corso delle varie fasi del processo produttivo si possono tuttavia verificare particolari condizioni che alterano la composizione chimica dell’olio ed incidono sulle sue caratteristiche olfatto-gustative deteriorandone pertanto la qualità.
Fenomeni fermentativi ed ossidativi sono i principali responsabili dell’innalzamento dell’acidità così come dell’insorgere dei difetti organolettici.
In altre parole, molire olive non sane e non fresche oppure molire le olive in modo non corretto determina una separazione degli acidi grassi dal glicerolo, un innalzamento dell’acidità dell’olio e l’insorgere di difetti organolettici ovvero di sapori ed odori sgradevoli Come risulta evidente da questa spiegazione l’acidità di un olio è espressione di
un qualcosa che l’organismo umano non è in grado di valutare con i propri sensi.
È importantissimo sottolineare quindi che nessuno, neanche un esperto assaggiatore, potrà determinare l’acidità di un olio assaggiandolo, ma per conoscerla si dovrà ricorrere all’analisi chimica.
Per amore di precisione si deve però aggiungere che così come è vero che assaggiando un olio privo di difetti organolettici non si può determinarne l’acidità, è altrettanto vero che assaggiando un olio che presenta difetti organolettici si può ipotizzare che lo stesso abbia una acidità più elevata visto che i difetti organolettici generalmente sono sintomo di fenomeni fermentativi ed ossidativi che influiscono anche sullo stato di salute chimica dell’olio.
Scegliere un nome diverso da attribuire a questo importante parametro chimico (magari “integrità” di un olio, invece di acidità), probabilmente avrebbe aiutato ed evitare l’equivoco in cui in molti incorrono.
Il termine acidità ci induce infatti a pensare ad uno dei quattro sapori fondamentali (insieme al dolce, al salato ed all’amaro) che l’organismo umano è in grado di percepire attraverso il senso del gusto, e non ci si deve meravigliare pertanto se molti consumatori erroneamente associano la sensazione di piccante presente in differenti intensità in quasi tutti gli oli extravergini all’acidità.
Niente di più sbagliato naturalmente visto che il piccante, ironia della sorte, è invece la manifestazione sensoriale della presenza di una importantissima classe di sostanze aromatiche chiamate polifenoli che oltre ad essere dei potentissimi antiossidanti naturali
sono proprio i responsabili di tale sensazione.
I polifenoli, (insieme ad altre 220 sostanze circa di fondamentale importanza) costituiscono quell’1- 2% di componenti dell’olio extravergine di oliva chiamata frazione insaponificabile e sono ciò che rende quest’olio diverso e migliore di qualsiasi altro grasso.
Alcune di queste sostanze costituenti dell’olio extravergine di oliva hanno infatti un importante valore terapeutico, altre sono responsabili del profumo e del sapore dell’olio ed altre ancora sono efficaci antiossidanti naturali in grado di conferire al prodotto, ed alle persone che se ne nutrono, una grandissima resistenza all’invecchiamento.
Il piccante, così come l’amaro presenti nell’olio extravergine di oliva, non sono quindi prova di elevata acidità dello stesso, ma al contrario prova della presenza di queste così importanti e salutari sostanze che rendono l’extravergine un prodotto unico e straordinario.
Concludiamo questa rapida ed incompleta disanima dell’olio extravergine di oliva fornendo un ultimo consiglio sulla sua corretta conservazione casalinga.
Partendo dal presupposto che i polifenoli in quanto antiossidanti sono danneggiati proprio dall’ossigeno contenuto nell’aria, dal calore e dalla luce, al
fine di preservare l’olio extravergine di oliva dall’invecchiamento e di mantenerne inalterate il più a lungo possibile le caratteristiche organolettiche e le proprietà nutritive è necessario conservarlo in recipienti ben chiusi al riparo dalla luce e da fonti di calore. Tappate bene le bottiglie, riponetele lontano dai fornelli e da altre fonti di calore in ambienti freschi e scuri e preparatevi a scoprire un prodotto che vi stupirà con il suo sapore e con il suo profumo ma soprattutto con la sua capacità di rendere migliore qualsiasi alimento a cui lo abbinerete.